DIARIO REPUBBLICANO: Diritto alla Conoscenza anche in campagna elettorale
NICCOLÒ RINALDI
21 settembre
In un intervento su Rewriters – Il viaggio in guerra attraverso lapp luam – scrivo di un app che permette aggiornamenti da zone di conflitto in tempo quasi reale, senza analisi o commenti e solo con fatti. È un piccolo e utile strumento di informazione che permette a ciascuno di farsi la propria idea su una base più solida. Ci vorrebbe qualcosa del genere anche per le campagne elettorali – qualcosa di immediatamente consultabile e che escluda le chiacchiere.
Tanto più che queste sono sempre unilaterali (annunci che non favoriscono un minimino di dialogo tra candidati ed elettori) e strumentali. A me in particolare colpiscono due cose.
1) Una campagna elettorale è di per sé un esercizio pubblico, davanti a tutti. Eppure – da certi sondaggi, alla formazione delle liste, a chi viene invitato o no in televisione, e molto altro – tanti avviene in coni d’ombra, nella più assoluta opacità – altro che trasparenza.
2) Per farsi strada, per persuadere il cittadino che si è una persona meritevole del proprio voto, tanti candidati ricorrono all’opposto; mostrano il peggio di sé, con bugie colossali (dal reddito per le casalinghe alla flat tax, dal blocco navale delle nostre cose al rinegoziare il PNNR), uso di jet privati, ricorso all’insulto o alla volgarità (fin troppi esempi possibili), rottura pubblica di accordi annunciati due giorni prima, e a molto altro. Ne ho già parlato: per molti cittadini un tale spettacolo porta solo al disgusto e a non votare. Ma altri pare piacere, gli piace questa fiera della trivialità e votano il peggio lasciandosi abbindolare.
Come proteggersi? come affermare un laico “Diritto alla Conoscenza”? In attesa di un’App che registri le promesse fatte e quelle mantenute, che confronti gli annunci con il fattibile (come la disponibilità effettiva di bilancio l’esistenza di una base legale), o segnali anche solo gli strafalcioni linguistici, non resta al candidato di cercare di spiegare pazientemente le proprie proposte e annodare un dialogo (che è poi quello che cerco di fare con questo “diario”). E un invito (che non è un’imposizione, ma è anche un monito) a non gridare e a ragionare. Ma anche per questo, bisogna essere in due.