Per un laico la cultura è tutto, tutto comincia dalla filiera della conoscenza –scuola, università, ricerca creatività – e compito dello Stato è mettere ogni cittadino in condizione di pensare con la propria testa, di accedere agli strumenti per sapere, autonomamente (sulla pagina FB dei Repubblicani Europei si trovano le registrazioni die nostri dibattito indelicati alla scuola).
Ma già sulla scheda elettorale non è così. Per alcuni è questione del tutto secondaria, per me invece tutta di sostanza, oltre che di stile: la lista con la quale mi candido è quasi l’unica che non sventola il nome del “leader”. Tutte le altre, fra le principali, si aggrappano al loro nume tutelare: Meloni, Salvini, Berlusconi, perfino De Magistris e Conte, e una ne ha perfino due – i famosi due galli nel pollaio, che per mesi si sono beccati e che potrebbero tornare a farlo – e i “Noi moderati” ben tre, ognuno di una taglia diversa (immagino che trattative per mettersi d’accordo).
Questa cultura del personalismo non ha niente di normale, anche se per molti lo è. Ma credete che sia così in Portogallo, in Svezia, in Germania, eccetera? I partiti si presentano con i loro simboli come storie di idee antiche o recenti, vanno oltre il segretario di turno.
In Italia, così poco europea anche in questo, invece il simbolo ha bisogno del suo divo (almeno, per una volta, c’è anche una donna) e in questo c’è molta insicurezza della forza della lista in quanto tale, spesso creato solo come partito personale, e tanta ostentazione della vanità alla ricerca di un elettore che ha un bisogno strisciante dell’uomo al comando, della star televisiva, più che per il progetto e la comunità di una proposta.
In una “Lista Pannella” o una “Altiero Spinelli” mi ci candiderei volentieri, personaggi ormai scomparsi che aprirono nuove strade, ma altrimenti trovo la cosa molto paternalista. Va a tutto onore di Letta e del PD non aver voluto indicare il nome del segretario sul simbolo. Anche questo si chiama “educare istruire formare”.